Omissis…”B) Da altra prospettiva e nel merito è opportuno ribadire- in ordine alle condizioni di risarcibilità del danno- che:
- Il nostro sistema di responsabilità civile e contrattuale è permeato dal principio della risarcibilità del (solo) danno effettivo che sia stato conseguenza diretta ed immediata dell’altrui comportamento illecito ovvero inadempiente.
- Ciò vuol dire che – mirando il risarcimento del danno alla reintegrazione del pregiudizio che determini una effettiva diminuzione del patrimonio del danneggiato, attraverso il raffronto tra il suo valore attuale e quello che sarebbe stato ove la obbligazione fosse stata esattamente adempiuta – ove diminuzione non vi sia stata (perdita subita e/o mancato guadagno), ovvero non sia stata provata in giudizio, il diritto al risarcimento non è configurabile (Cass. Sez. U, Sentenza n. 6572 del 2006 in motivazione).
- In altri termini, la forma rimediale del risarcimento del danno opera solo in funzione di neutralizzare la perdita sofferta, concretamente, dalla vittima, mentre l’attribuzione ad essa di una somma di denaro in considerazione del mero accertamento della lesione, finirebbe con il configurarsi come somma-castigo, come una sanzione civile punitiva, inflitta sulla base del solo inadempimento, ma questo istituto non ha vigenza nel nostro ordinamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 6572 del 2006 in motivazione; per l’inesistenza nel nostro ordinamento dell’istituto dei ed. “danni punitivi” cfr. da ultimo Cass. sent. n. 1183 del 19.1.2007).
- Ne consegue che anche il ricorso al criterio equitativo per la liquidazione del danno patrimoniale previsto dall’art. 1226 cod. civ. presuppone sempre che il pregiudizio economico del quale la parte reclama il risarcimento sia [ a differenza che nella specie] certo nella sua esistenza ed è consentito al giudice soltanto in presenza di una impossibilità ovvero di una oggettiva difficoltà per la parte interessata di provare l’esatto ammontare del danno, cfr. ex multis Cass. Sez. L, Sentenza n. 16992 del 18/08/2005)…”omissis.
Omissis…”
- L’attore chiede qui al convenuto il risarcimento dei danni pari al valore dei propri beni che terzi creditori stanno sottoponendo ad esecuzione forzata e che – (soltanto) all’esito di detta procedura – potranno essere venduti all’asta per la soddisfazione del credito azionato.
- L’attore quantifica la misura del ristoro pecuniario preteso nella somma di €. 500.000,00 (in cui evidentemente lo stesso identifica il valore dei beni pignorati) ovvero in subordine nella minor somma di €. 334.302,80 corrispondente all’importo di cui al precetto notificatogli ed azionato “in executivis”.
- La esecuzione forzata è tuttavia tuttora pendente, onde l’esito della stessa non è allo stato giuridicamente acquisito.
- Ne consegue che l’attore agisce quivi per acquisire definitivamente al suo patrimonio (a titolo di responsabilità civile) l’equivalente monetario di beni (quelli di cui al pignoramento in esame) che (pendendo ancora la relativa procedura esecutiva) non sono ancora usciti dal suo patrimonio, che peraltro potrebbero non uscirvi (per il caso in cui il credito azionato fosse soddisfatto dal debitore principale ovvero dagli altri coobbligati solidali) ovvero che- quand’anche in futuro uscissero dal patrimonio dell’esecutato, ivi potrebbero tornare nel caso di accertamento giudiziale (tuttora pendente in primo grado) della impignorabilità degli stessi.
- Infatti il giudice dell’opposizione dovrà decidere- con sentenza idonea al passaggio in giudicato- della fondatezza o meno della spiegata opposizione e quindi, in particolare, della pignorabilità o meno dei beni oggetto del fondo patrimoniale e- di conseguenza- della legittimità o meno del pignoramento di essi eseguito dal creditore procedente.
- È noto infatti che la controversia relativa alla pignorabilità dei beni – che, ad esecuzione iniziata, si propone con ricorso al giudice dell’esecuzione – costituisce l’oggetto di un’opposizione all’esecuzione, secondo l’espressa previsione dell’art. 615, comma secondo, dal momento che la pignorabilità non è altro che la negazione del diritto di procedere all’esecuzione su determinati beni (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15198 del 24/11/2000; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1452 del 09/02/2000).
- Ed è altrettanto noto che, dichiarata la nullità del precetto e dell’intero procedimento esecutivo in seguito ad accoglimento di opposizione all’esecuzione, il creditore procedente è tenuto a restituire la somma conseguita attraverso la vendita forzata al debitore (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1364 del 25/05/1963).
- Ne consegue che l’interesse dell’attore a neutralizzare quivi nei confronti del convenuto (asseritamente responsabile della contestata pignorabilità del fondo patrimoniale), con il risarcimento di un danno pari al valore dei beni pignorati (ovvero all’importo del precetto azionato), in via anticipata (rispetto tanto alla vendita forzata di quei beni, quanto a! formarsi di un giudicato sulla pignorabilità effettiva di quei beni) gli effetti patrimoniali dannosi della contestata esecuzione forzata, effetti tuttavia allo stato (rectius, al momento tanto dell’esercizio della presente azione quanto della presente sentenza) meramente eventuali ed ipotetici (potendo gli stessi non verificarsi ovvero eliminarsi retroattivamente nel caso di esito del giudizio di opposizione, tuttora pendente, favorevole alla impignorabilità dei beni), è quindi interesse (giuridicamente) di mero fatto, perché inattuale, ipotetico, fondato susituazioni future o meramente ipotetiche (il formarsi di un giudicato di pignorabilità del fondo patrimoniale controverso) e come tale ad oggi condizionato all’esito di altro giudizio (per i già richiamati principi per cui “l’interesse ad agire è da escludere, quando il giudizio sia strumentale alla soluzione soltanto in via di massima od accademica di una questione di diritto [nella specie, responsabilità o meno di terzi per la tardiva annotazione del fondo patrimoniale] in vista di situazioni future o meramente ipotetiche”[nella specie, futura definitiva vendita forzata del fondo patrimoniale e futuro eventuale giudicato della piena pignorabilità del fondo medesimo], cfr Cass. 19 agosto 2000, n. 11010 citata; per il principio per cui, “poiché la tutela giurisdizionale è tutela di diritti, il processo, salvo casi eccezionali predeterminati per legge, può essere utilizzato solo come fondamento del diritto fatto valere in giudizio e non di per sé, per gli effetti possibili e futuri ed eventuali” [nella specie, per l’incameramento in via anticipata a titolo risarcitorio di quanto in futuro eventualmente perso in via definitiva- con la chiusura della vendita forzata dei beni e con il formarsi del giudicato sulla pignorabilità del fondo patrimoniale] cfr, Cass. Sez. L, Sentenza n. 24434 del 23/11/2007 citata; per la non attualità e ipoteticità dell’interesse ad agire in accertamento del diritto a pensione, essendo lo stesso interesse condizionato all’esito del giudizio promosso per il riconoscimento del diritto al trasferimento dei contributi ad altro fondo, dando contraddittoriamente per certo un presupposto, il “venir meno del diritto al trasferimento ipotetico e “sub iudice”; cfr. Cass. Sez. L, Sentenza n. 24434 del 23/11/2007 citata; in senso conforme Cass. 20.4.1995 n. 4444; per la “non attualità ed ipoteticità dell’interesse ad agire nella causa, quando lo stesso interesse risulti condizionato (come nella specie) all’esito di altro giudizio” cfr. Cass. Sez. L, Sentenza n. 24434 del 2007 anche in motivazione; negli stessi esatti termini cfr. Sez. K Sentenza n. 7786 del 29/03/2007 citata la quale- come già osservato- sulla base di tale principio, ha cassato senza rinvio la sentenza di merito che aveva ritenuto sussistente l’interesse di una curatela a proporre domanda di revoca di un’ipoteca iscritta sulla base di decreto ingiuntivo emanato nei confronti del fallito, individuando l’interesse medesimo nel rischio di futura ed eventuale esposizione ad azione di rivalsa dell’aggiudicatario dell’immobile per il rimborso delle spese di cancellazione dell’ipoteca o ad eventuali iniziative giudiziali del creditore dirette a far valere la prelazione ipotecaria).
Né sarebbe possibile quivi emettere (peraltro in difetto di qualsivoglia domanda di parte attrice al riguardo, il che renderebbe la relativa pronunzia, per ciò solo, ultra petita) una “sentenza di condanna” del convenuto (ovvero dei chiamati in causa) “condizionata” alla futura definitiva (e allo stato- come detto- meramente eventuale) perdita da parte dell’attore dei cespiti del fondo patrimoniale posto che:
- Come detto, nell’ordinamento processuale vigente è possibile emetteresentenze di condanna condizionate, quanto alla loro efficacia, al verificarsi di un determinato evento futuro e incerto, o alla scadenza di un termine prestabilito o ad una controprestazione specifica, purché il verificarsi dell’evento dedotto in condizione non richieda ulteriori accertamenti di merito da compiersi in un nuovo giudizio di cognizione, ma possa semplicemente esser fatto valere in sede esecutiva mediante opposizione all’esecuzione (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 264 del 11/01/2006: nel caso di specie la S.C. ha confermato la sentenza con la quale il giudice del merito aveva ritenuto l’insussistenza del presupposti per la pronuncia di un sentenza di condanna condizionata rilevando che “se anche la condanna nella specie potrebbe astrattamente ricondursi all’espropriazione del bene e dunque all’esecuzione eventualmente promossa dal creditore ipotecario, è del tutto evidente che,verificatosi l’evento, la quantificazione del danno abbisognerebbe – necessariamente – di un nuovo giudizio di merito”; cfr. nello stesso senso Cass. Sez. 3, Sentenza n. 19657 del 01/10/2004; Cass. 10/02/2003, n. 1934; Cass. 12/07/1996, n. 6329; Cass. 04/04/2001, n. 4988).
- La sentenza condizionata non è invece ammissibile- come parimenti già detto- qualora con essa si pronuncia una condanna da valere per il futuro, se ed in quanto sia giudizialmente accertato il verificarsi di un evento (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6329 del 12/07/1996).
- Nella specie, invece, il verificarsi dell’evento futuro ed incerto (costituito dalla perdita definitiva ed “irreversibile” dei beni del fondo patrimoniale) ai quale dovrebbe condizionarsi la efficacia della sentenza di condanna in favore dell’attore all’ “incameramento del risarcimento del danno” (da vendita forzata definitiva dei beni pignorati) è subordinato all’esito negativo (ad oggi meramente eventuale) e “processualmente irrevocabile” (con giudicato) della spiegata (e tuttora pendente) opposizione all’esecuzione e degli eventuali giudizi di impugnazione che ad essa potranno conseguire, al pari della quantificazione del danno (in relazione al valore di stima del compendio immobiliare, al prezzo da conseguirsi per la aggiudicazione, all’eventuale residuo spettante all’esecutato etc.) concretamente ricollegabile (in virtù del richiamato generale principio della risarcibilità del solo danno effettivo) alla vendita forzata.
Né l’attualità dell’interesse ad agire può rinvenirsi (come genericamente controdedotto dall’attore in sede di appendice scritta di trattazione: cfr. la memoria depositata il 27.4.2007) nel fatto che “la stessa procedura esecutiva immobiliare promossa in suo danno e non eventuale o probabile e tuttora pendente dinanzi al Tribunale di Chieti […] connoti tutto l’interesse dell’attore al presente giudizio” posto che:
- L’attore non agisce qui per il risarcimento del danno da “generica” sottoposizione del suo patrimonio ad un procedimento esecutivo (sottoposizione che egli, infatti, “imputet sìbi” in quanto oggettivamente e colpevolmente inadempiente alle obbligazioni di pagamento verso il creditore, cosi costretto ad agire nei suoi confronti in executivis per la soddisfazione coattiva del credito) onde il richiamo operato al fatto di essere attualmente soggetto “esecutato” è neutro rispetto all’(interesse della) azione proposta.
- L’attore agisce invece per il risarcimento dei danni da sottoposizione ad esecuzione forzata di quegli specifici beni costituenti il proprio fondo patrimoniale, ma la natura meramente eventuale ed ipotetica dell’interesse giuridico sotteso ad una tale azione (vd. supra) ne comporta la inammissibilità.
Né sarebbe legittimo in diritto procedere alla sospensione del presente giudizio sino alla definizione (ovviamente irrevocabile) del predetto giudizio di opposizione: infatti la sospensione necessaria del giudizio ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ., presuppone l’identità delle parti in entrambi i processi (elemento mancante nella specie) e che il preventivo accertamento cui si addivenga in una causa assuma efficacia di giudicato (a differenza che nella specie) rispetto all’oggetto di altra controversia (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 6159 del 16/03/2007; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 16960 del 25/07/2006; Cass. n. 4730/99).
Le superiori considerazioni in termini di inesistenza di un interesse attuale e concreto giuridicamente rilevante dell’attore all’esperimento della spiegata opposizione trovano conferma “ad abundantiam” nella circostanza che allo stato mancherebbe (nel merito e sino al giudicato sull’opposizione) la prova (sia nell’ai, sia nel quantum) di qualsivoglia danno patrimoniale concreto ed irreversibile (come tale risarcibile) in capo all’attore (prescindendo dall’infondatamente dedotto danno all’immagine per sottoposizione ad esecuzione, che l’attore “imputet sibi” in quanto oggettivamente e colpevolmente inadempiente alle obbligazioni di pagamento verso il creditore, cosi costretto ad agire nei suoi confronti in executivis per la soddisfazione coattiva del credito), e ciò perché l’attore ha erroneamente preteso di agire “in via anticipata” (rispetto tanto alla vendita forzata di quei beni, quanto al formarsi di un giudicato sulla pignorabilità effettiva di quei beni) e (come tale) giuridicamente inammissibile (ex art. 100 c.p.c.) per il risarcimento di danni allo stato (rectìus, al momento tanto dell’esercizio della presente azione quanto della presente sentenza) meramente eventuali ed ipotetici (potendo gli stessi non verificarsi ovvero eliminarsi retroattivamente nel caso di esito del giudizio di opposizione, tuttora pendente, favorevole alla impignorabilità dei beni).
La inammissibilità ex art. 100 c.p.c. della spiegata domanda di condanna risarcitoria (cui la spiegata domanda di accertamento della responsabilità professionale è- ovviamente- meramente strumentale) comporta la inammissibilità in rito (con conseguente “divieto” di delibazione nel merito) della predetta azione di accertamento, non potendo avere le anioni dichiarativi ad oggetto (a differenza che nella specie) una mera situazione di fatto, ma dovendo tendere all’accertamento di un diritto che (parimenti a differenza che nella specie) sia già sorto, in presenza di un pregiudizio attuale, e non (come invece nella specie) meramente potenziale (Cass. Sez. U, Sentenza n. 264 del 15/01/1996 già richiamata la quale, sulla base di tali principi, ha ritenuto improponibile, per difetto d’interesse ad agire, la domanda con la quale alcune banche chiedevano, nei confronti di talune società da esse garantite per la buona esecuzione di lavori, di essere garantite per quanto eventualmente dalle banche medesime dovuto alla banca straniera – a sua volta garante nei confronti del committente estero -, in caso di condanna resa all’estero, in quanto non era attuale il pericolo di lesione del diritto delle banche attrici, dipendendo da una serie di eventi ipotetici e del tutto imprecisati, quali, nella specie, la sentenza di un giudice straniero indeterminato e la condanna ad una prestazione non precisata né nel suo ammontare, né nei suoi presupposti, né nei suoi effetti; cfr. nello stesso senso Cass. Sez. L, Sentenza n. 6142 del 18/06/1999; Cass. 24 giugno 1995 n. 7196; Cass. 5 maggio 1995 n. 4894; per il già richiamato principio per cui “i fatti possono essere accertati dal giudice solo come fondamento del diritto fatto valere in giudizio e non di per sè e per gli effetti possibili e futuri che da tale accertamento si vorrebbero ricavare, cfr Cass. Sez. L, Sentenza n. 17788 del 22/11/2003; cfr. l’ulteriore giurisprudenza a riguardo già analiticamente richiamata sub punto B della presente motivazione; cfr. Cass. Sez. I Sentenza n. 16159 del 20/07/2007).
La inammissibilità in rito (cfr- Cass. N. 23515/2007) della azione attorea assorbe (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5111 del 09/03/2006 ogni ulteriore questione di rito e di merito controversa tra le parti…”omissis.
Tribunale di Pescara, sentenza n. 657 del 26/05/2008, Giudice Dott. Gianluca Falco, inedita.
(Inserita il 03/12/2010)